Il prete interrogava la capricciosa moglie del merciaio sul delicato argomento, cogli occhi e coi piedi. Questa comprese a volo e rispose con un sorrisetto pieno di malizia.
Ma Domenico Valeri non era un grullo. Da quella cena comprese tutto ciò che poteva sperare per l’avvenire, mostrandosi condiscendente e indovinando i desideri e le intenzioni del curato, uscì fuori con una esclamazione che scese fin nei più nascosti recessi dell’anima del prete:
- Che peccato che io non possa trattenermi più a lungo in sì grata compagnia.
- Perché? - domandò prestamente il degno ecclesiastico.
- Bisogna che riparta subito. Ho un contratto da stipulare e non sono venuto che per prendere certi denari dei quali ho bisogno.
- Partirai domattina - disse la pudibonda sposa - se te ne vai così, il signor curato se n’avrà a male.
- Certamente! - biascicò il prete.
- Il signor curato è tanto buono che vorrà perdonarmi. Gli affari prima di tutto, non è vero?
- Sicuro - scappò detto all’anfitrione in sottana nera.
- Almeno trattienti un’altro pochetto, tanto da accompagnare a casa don Gaspare - miagolò Michelina, che si divertiva a tener sulle spine il prete.
- Oh! per questo non c’è bisogno, ribattè costui.
- Dunque me ne vado.
E vuotato un ultimo calice d’aleatico, Domenico si alzò, finse di andar a prender qualche cosa nel canterano e rimessosi sulle spalle il ferraiolo, se ne andò accompagnato dagli auguri e dalle raccomandazioni della moglie.
LXV.
Auri sacra fames.
La relazione col curato, così felicemente continuò, con molta soddisfazione dei tre contraenti.
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Domenico Valeri Gaspare Michelina Domenico
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