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      Domenico Valeri tentò di adottare il sistema di difesa preventivamente architettato. Ma contro di lui stava la testimonianza del contadino e il corpo del delitto. Abilmente interrogato dal giudice finì per confessare, attribuendo alla infedeltà di sua moglie il movente del delitto, e così credette di poter salvare la testa. Ma il piano non gli riuscì.
      Condannato nel capo dopo sei mesi di prigionia, il 15 febbraio 1830 io fui chiamato ad eseguire la sentenza. Benché munito dei conforti religiosi, morì vilmente, portato di viva forza sul palco fatale da me e dal mio aiutante.
      LXVII.
      L’attentato al cardinale Rivarola -
      Quattro impiccati.
      I movimenti rivoluzionari di Napoli e del Piemonte avevano esagitati anche gli Stati di Sua Santità e segnatamente le Legazioni. I carbonari, fierissima setta politica che si era proposta di rovesciare tutti i troni, compreso quello del Sommo Pontefice, ordivano continue congiure, aiutandosi vicendevolmente, da una provincia all’altra, da un capo all’altro d’Italia.
      Per meglio riuscire all’intento, combinarono di sollevare le Romagne, custodite da scarso numero di truppe e di far di quelle il punto d’appoggio delle ulteriori insurrezioni, che andavano preparando e che dietro un primo successo dei ribelli, non avrebbero mancato di scoppiare.
      Il governo pontificio era informato in parte delle loro mene e stava sull’avviso; ma gli tornava impossibile di raccogliere notizie precise, per poter colpire i capi ed i promotori, stante il terribile ordinamento della setta, la quale colpiva di morte inesorabilmente traditori veri o supposti, come s’era già veduto in Roma, nel processo di Leonida Montanari ed Angiolo Targhini, da me giustiziati al Popolo il 23 novembre 1825.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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