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      Erano trascorsi d’allora tre anni, e la carboneria, disfatta dai rovesci di Lombardia, del Piemonte e di Napoli, s’andava ogni giorno più estendendo e rinvigorendo. Anche coloro che non v’erano propriamente ascritti l’aiutavano, per paura di peggio, o almeno non ne denunziavano le opere, delle quali fossero venuti in cognizione. Ravenna doveva essere il punto di partenza del progettato movimento.
      Stava allora in quella città l’eminentissimo cardinal Rivarola, uno dei membri più austeri e più acuti del sacro collegio. I cospiratori formarono l’audace progetto di impossessarsi della sua persona, per averlo come ostaggio e di ricorrere quindi alle armi per abbattere il governo del papa e sostituirvi un governo rivoluzionario, al quale avrebbero fatto capo gli altri dei paesi insorti costituendosi in lega.
      L’eminentissimo Rivarola aveva l’abitudine di recarsi ogni giorno a diporto in carrozza fino alla spiaggia del mare, costeggiando la famosa Pineta, ed inoltrarsi in questa anche per breve tratto, onde godersi la soave frescura e l’aria saluberrima, pregna delle esalazioni delle piante resinose, tanto giovevoli ai polmoni.
      Sull’imbrunire di una giornata dei primi di maggio 1828, il cardinale ritornava dalla consueta passeggiata, e stava per uscire dalla pineta, quando sei individui vestiti alla cacciatora e muniti di moschetti, balzarono fuori da una delle macchie più fitte: due si portarono ai lati dei cavalli gridando al cocchiere:
      - Ferma, o sei morto.
      Il cocchiere intimidito fermò le bestie, benché il domestico che aveva a lato, lo esortasse a spronarli per giungere sulla strada maestra.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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