I loro sguardi si rincontrarono.
Quella sera Geltrude, si mise innanzi il libro come di consueto ma poco o punto lesse e non appena coricata spense il lume.
La sua avventura del giorno le preoccupava la mente: ella si rivedeva innanzi il biondo giovinotto e parevale d’udirne la voce armoniosa. Che più? Non le sembrava ch’egli fosse nuovo per lei. Doveva averlo incontrato altrove, forse nelle pagine di qualche romanzo.
Geltrude si alzò all’indomani mattina, che non aveva chiuso occhio. La sua fisonomia aveva in sé qualche cosa di insolito, di affaticato, di languente.
- Ti senti male. Geltrude? - le domandò premurosamente la madre.
- Punto.
- Se sei giù di cera?
- Ho dormito poco. Faceva tanto caldo.
- Perché non torni a riposarti?
- No, no. È meglio che mi goda un po’ d’aria fresca.
La madre non insistette più oltre e Geltrude attese come di consueto alle bisogna di casa, affrettando con voti il pomeriggio per recarsi a passeggiare e a leggere nel bosco. Sentiva come un vago presagio che l’attendeva qualche cosa di inusato. Forse sperava di incontrarvi di nuovo il cacciatore.
I presagi di una fanciulla si avverano sempre, segnatamente quando sono ispirati dal cuore.
Giunta poco lungi dal posto dove aveva passato il dopopranzo il giorno innanzi, vide un’ombra, la quale prese tosto consistenza e forme precise: quelle del cacciatore dagli occhi cerulei. Sostò un momento perplessa, ma si decise tosto e continuò la strada; quando fu innanzi all’incognito, gli volse per prima la parola.
- Ancora qui, signore?
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Geltrude Geltrude
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