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      Non tardò a riconoscere in lui, Enrico, il biondo cacciatore di Monteguidone, lo sconsolato vedovo che aveva veduto sette giorni innanzi seguire il feretro della moglie. Una subita emozione si impossessò di lei; con un breve chinar del capo, accennò affermativamente alla muta interrogazione che sembrava farle.
      Enrico mosse alcuni passi giù per la via, quindi tornò indietro e passando rasente il negozio di Toto, porse a Geltrude un pezzo di carta arrotolata, che teneva fra le dita, senza soffermarsi, e senza salutarla.
      Geltrude, si cacciò in tasca il biglietto e rientrò prontamente in bottega: i garzoni avevano accesi i lumi ed ella potè leggerlo Diceva semplicemente: «Domenica alla 10 a San Pietro». Si alzò, fece il biglietto in piccolissimi pezzi e recatasi sul limitare del negozio, li sparse nella strada.
      Aveva deciso di vincere quella tentazione, di resistere all’inclinazione che la trasportava, di rifiutare l’appuntamento e di conservarsi fedele ed intemerata moglie.
      Ma le memorie del passato ripresero il sopravvento durante la notte, che scorse per lei agitatissima. Verso il mattino credette d’aver vinta la battaglia e che la palma fosse rimasta al dovere, e si addormentò, proponendosi irremissibilmente di non recarsi al convegno, di tagliare alle radici, quella passione che accennava a risorgere. Dormì fino alle otto del mattino cullata da rosei sogni di larve gentili e carezzevoli. Quando si svegliò la vittoria era rimasta in pugno ad Amore.
      Toto era uscito, senza destarla, e aveva lasciato detto che sarebbe tornato soltanto a sera, perché doveva andare a Frascati per un certo suo affare.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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