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      Come ebbero trasportate in casa le due valigie, Enrico infreddolito si ricacciò tra le coltri.
      - Che fai? gli disse Geltrude stupita.
      - Non vedi? Mi corico. Fa un freddo birbone. Non vorrei prendere una costipazione. Si fa presto ad andarsene all’altro mondo e sarebbe troppo comodo a tuo marito.
      Geltrude a quell’uscita sorrise sinistramente; i suoi occhi mandarono un bagliore di fiamma. Benché sorpresa da quella accoglienza non proferì verbo; e attribuendo all’amante il desiderio di gioire di lei, incominciò a spogliarsi.
      - Vieni a letto anche tu? le chiese Enrico.
      - Poiché ci sei tu...
      - È il meglio che ci resta a fare.
      - Bisogna però pensare a partire.
      - A partire?
      - Certamente. Non vorrai credo, che io resti qui. Lo scandalo sarebbe troppo grosso e collo scandalo il pericolo.
      Le preoccupazioni d’Enrico crescevano di momento in momento. Egli non era per nulla disposto a mettersi nella briga di un’unione clandestina, con una donna fuggita dalla casa maritale. Le sue supposizioni non andavano oltre. Al primo risveglio della passione, incontrando Geltrude, gli era parso possibile tutto. Ma sbolliti i primi entusiasmi, gli era rinata la riflessione. Ed era giunto già a tale da reputare come un grave impiccio per lui quell’amore troppo fervente e troppo esclusivo.
      Geltrude dal canto suo s’era accorta che Enrico non aveva capito quello che era accaduto fra lei e suo marito e non si sentiva il coraggio di confessarlo.
      Quando si fu completamente spogliata ed ebbe preso posto nel letto, pensò che la confessione gli verrebbe più spontanea, fra i deliri degli amplessi.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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