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      Desiderava qualche cosa di più piccante, e la trovò. Un amico, di quelli che si era fatto frequentando le sale dei bigliardi, i caffè e i ristoratori, gli propose di condurlo in una casa, ove c’erano delle leggiadre donnine allegre, dove si faceva all’amore, si cenava e si giocava; sopratutto si giocava. Pietro Tagliacozzo accettò di grand’animo e in breve diventò uno fra i più assidui frequentatori di quella casa.
      Giocava e perdeva con molta distinzione, cioè senza disperarsi; giocava e vinceva con molto garbo, sciupando i quattrini delle vincite cogli amici e segnatamente colle signorine che rallegravano la casa della loro gradita presenza.
      Di queste, una delle più avvenenti e distinte era Lalla, una francese stabilita a Roma da poco tempo, che aveva cambiato in questo nomignolo, dirò così, di guerra, il suo nome di Mélanie. Essa aveva delle parigine la grazietta gentile, le piccole furberie, ed anche le grosse, e un’avidità insaziabile, abilmente mascherata. Aveva della romana la magnificenza delle forme, il bagliore degli occhi neri fiammeggianti e lascivi ad un tempo, i bellissimi capelli neri e l’abbandono sapiente.
      Accortasi delle simpatie di Pietro, Lalla, da quella calcolatrice che era, si mostrò con lui fredda e ritrosa oltre i confini del ragionevole. Cercava di evitare a bello studio i contatti da sola a sola con lui, mentre lo investiva e lo avvolgeva co’ suoi sguardi, quando si trovavano in compagnia, e non c’era pericolo, ch’egli potesse spingere i suoi attacchi oltre i limiti della convenienza.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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