Questa seguì, per mia mano, il 19 gennaio 1842, a Roma, ove era stato trasferito, in via de’ Cerchi. La sua compunzione, lo strazio dell’animo del quale evidentemente soffriva e il coraggio con cui mosse nondimeno al patibolo, accompagnato dal confessore e dai frati confortatori, destarono un senso di commiserazione profonda.
Lalla ebbe l’impudenza di assistervi da una finestra, ma riconosciuta da taluno e additata dalla folla, ne suscitò l’indignazione, che si tradusse in imprecazioni e minaccie; per le quali dovette ritirarsi e nascondersi. All’indomani un decreto del fiscale la espelleva da Roma.
LXXXII.
Un triste Don Giovanni.
Cesare Abbo aveva portato dalla natura un temperamento estremamente lussurioso. Appartenente a famiglia ricca e di ottime origini, che godeva di gran credito nella migliore società, egli si era abbandonato giovanissimo a tutti gli eccessi, ed aveva sciupato il proprio patrimonio nel giuoco, nella crapula, negli stravizi di ogni genere, seminando il sentiero della sua vita di vittime infelici della sua foia.
Non una donna poteva passargli vicino senza ch’egli tentasse di farla sua colla violenza o colla seduzione, sorprendendola e assoggettandola per forza alle sue voglie, se gli veniva fatto, ingannandola con mentite proteste d’amore, o guadagnandola coll’oro, che spargeva a piene mani, se non gli era stato concesso di possederla altrimenti. Egli non conosceva ostacoli, in una parola. Quando incontrava delle difficoltà i suoi desideri si acuivano e diventavano irresistibili, e per appagarli non rifuggiva da qualsiasi mezzo.
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