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      In un’altra occasione, incaricato da un amico di portare sue notizie alla propria moglie, si reca da lei per eseguire la commissione avuta e viene dalla signora accolto colle migliori cortesie.
      Ma le grazie soavissime di quella donna giovane e bella lo incantano, lo abbagliano, gli danno le vertigini. D’un tratto interrompe bruscamente il discorso e, afferrandole la candida mano, le dice con accento inesprimibile:
      - Sofia!
      La signora stupefatta, cerca di ritirare la mano, ma Cesare la trattiene e continua ad investirla.
      - Sofia, io ti amo.
      - Signore - risponde indignata la signora, voi dimenticate dove vi trovate e con chi parlate.
      - Mi trovo accanto ad un angelo e parlo colla più cara, la più avvenente, la più vezzosa delle donne.
      - Queste parole che io dovrei respingere in qualunque momento le pronunziaste, sono ora un insulto per me. Ricordate che siete qui presentato da una carta di mio marito, di un vostro amico, che si è affidato alla vostra lealtà.
      - Parole, parole, Sofia, inutili parole. L’amore è una fiamma che divampa improvvisa, o non è.
      - Io respingo questo amore, che voglio ritenere per un’aberrazione istantanea.
      - Aberrazione sarebbe per noi non aprofittare delle gioie che ci promette questo involontario incontro. Forse tuo marito in questo momento medesimo, fa con un’altra, ciò che io desidero fare con te. Amiamoci Sofia. Val più un’ora d’oblio e d’ebbrezza che vent’anni di felicità calcolata, autorizzata, legittimata da quella scempiaggine che è il matrimonio.
      Atterrita da questo impudente linguaggio, la signora resta perplessa.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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