Vorrebbe evitare lo scandalo e cerca di persuadere colle buone l’audace a desistere dai suoi insani progetti.
- Io non giungo a spiegarmi - gli dice - questa follia, dalla quale siete assalito. È una sventura per me, l’avervi destato dei sentimenti che non posso dividere, non debbo assecondare.
- Perché?
- Dimenticate dunque la mia condizione? S’anco una lontana simpatia mi rendesse meno insensibile alle vostre dichiarazioni, io sarei costretta a combatterle dal vostro singolare ardimento.
- Sciocchezze. Puerilità indegne di una bellezza divina qual sei.
- Vi scongiuro, signore, di mutar tono. Un gentiluomo deroga mancando alle convenienze.
- Ma io t’amo, Sofia. T’amo come non ho amato mai. Per un tuo solo bacio darei non una, dieci volte, la vita. Ingiuriami, calpestami, disprezzami poi, ma sii mia.
In così dire Cesare Abbo si lancia sulla signora le cinge con un braccio la vita e rovesciandole coll’altra la testa, la bacia furiosamente sulla bocca, sulla gola e tenta di usarle l’estrema violenza.
Di fronte ad un tale attacco la signora, che si vede ormai perduta, fingendo per un secondo di abbandonarsi all’assalitore, ottiene che rallenti la foga del suo amplesso, si svincola da lui e riesce ad attaccarsi al cordone di un campanello, cui dà una terribile strappata.
Due servi in livrea accorrono tosto dall’anticamera.
- Allontanate questo signore e ricordatevi ch’egli non deve aver più accesso in questa casa.
I due domestici si fanno addosso a Cesare, ma questi tenta di ribellarsi loro.
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