Non appena donne e garzone se ne furono andati, l’Abbo si alzò, mosse incontro al cardinale e prendendolo per mano lo costrinse a farsi presso alla tavola tuttora imbandita, gli disse con piglio ironico:
- Eccoci soli, eminenza, ora non avrete più a temere che il vostro pudore ne soffra detrimento. Sedete.
Il cardinale severo, ma non accigliato, poiché si era proposto di evitare qualsiasi chiasso, dopo avere aderito all’invito, disse lentamente:
- Vi pare don Domenico, che queste scene cui mi fate assistere, sieno tollerabili, nel palazzo di un principe della Chiesa?
- Se ne son viste di peggiori.
- Altri tempi, altri costumi.
- Tutti i tempi sono buoni per giocondarsi l’esistenza; è tanto breve.
- Vi ho già tante volte richiamato all’esercizio de’ vostri doveri.
- Dove mai ho mancato, eminenza?
- E osate chiederlo?
- Certamente che l’oso, dal momento che so di aver sempre e col maggiore scrupolo adempito alle mansioni affidatemi.
- Non si tratta di ciò.
- E di che dunque.
- Del vostro carattere di sacerdote, per dio!
- Eminenza siete male informato sul conto mio. Il mio confessionale è il più frequentato e le più belle dame di Roma, e più cospicue per censo e per nascita, fanno a gara, per avermi a direttore spirituale, a guida sullo spinoso sentiero della vita.
- Non miscere sacra profanis! - sentenziò il porporato per evitare una risposta diretta.
- Quando io diffondo dal pergamo la parola di Dio, la gente affolla il tempio. Sono chiamato in tutte le case, ove s’ha bisogno di spargere i balsami della consolazione.
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