Spesso sono costretto a disertare la vostra tavola, per accorrere a quella d’altri principi della Chiesa. Che più? Sua Santità mi vede di buon occhio.
- Tanto di buon occhio, che è appunto da lui che fui esortato a liberarmi di voi.
- A liberarmi di me?
- Precisamente.
- Ah! Papa ubbriacone, così corrispondi alle mie piacevolezze. Oh! ma mi sentirà.
- Voi vi guarderete bene d’andare da Sua Santità.
- Ci andrò sicuro. Ogni suddito ha diritto di ricorrere al suo legittimo sovrano.
- Non v’andrete, perché sareste arrestato ipso facto.
- Non sarebbe la prima volta veramente.
- Ho piacere che lo ricordiate.
- Anch’io, perché mi rammenta la vostra bontà eminenza.
Ingannato da queste parole, che parevano sincere, il Cardinale credete di poter proceder oltre con tutta coscienza e riprese:
- Voi lascerete domani questo palazzo.
- Siete il padrone, vi obbedirò.
- E vi ritirerete nel convento dei Domenicani, per passarvi sei mesi d’espiazione.
- Questo poi no.
- Tali sono gli ordini di Sua Santità.
Don Domenico Abbo, si versò un calice di vino sciampagna spumeggiante e lo bevve centellinandolo: quindi, forbendosi le labbra, esclamò:
- Squisito! Scommetto che se papa Gregorio XVI fosse qui, non ne rifiuterebbe un bicchiere, come fate voi, troppo rigido nipote.
- Pensereste di farmi testimonio delle vostre orgie?
- Nepote mio, scusate, ma io non vi ho chiamato, e avrei proprio fatto di meno della vostra compagnia, perché ne avevo altra, come avete veduto, se non più interessante, più dolce.
- Vergognatevi!
- Di che? di seguire le leggi della natura?
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