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      Mentre il prete dissoluto giunto al ponte SantAngelo, rincorso dai servi, tentava di salire sul parapetto per lanciarsi nell’acqua, fu afferrato da alcuni soldati e trattenuto.
      Intanto giungevano i primi ed i secondi servi informati del delitto. Domenico Abbo venne portato a Castel SantAngelo e chiuso nelle prigioni di quello.
      Il processo ebbe luogo segretamente, e fu prontamente spicciato, perché premeva all’autorità di evitare l’enorme scandalo. Intanto si era fatto correr voce che il cardinale era morto per improvvisa sincope e fu severamente ingiunto ai domestici di parlare del fatto. Ma di molte ciarle erano già state fatte e la verità trapelava nel pubblico.
      La notte del 3 al 4 ottobre 1849 fui chiamato nel forte di Castel SantAngelo e quivi sull’albeggiare mozzai la testa al prete dissoluto. Domenico Abbo aveva svestiti gli abiti sacerdotali e gli erano stati raschiati i polpastrelli delle dita, colle quali aveva tante volte amministrata la sacra particola, e la tonsura per sconsacrarlo. Egli si era cinicamente confessato di tutte le sue oscenità, menandone vanto, ed entrando ne’ più minuti particolari. Esortato a far atto di contrizione, per meritarsi la grazia celeste, rispose beffandosene:
      - Ho goduto un cardinale, spero di aver buona fortuna anco col diavolo, lasciate che me ne vada all’inferno.
      Chiese ed ottenne di non essere né bendato, né legato. Camminò imperterrito e con saldo passo dalla carcere al posto ove era stato eretto il patibolo, guardò sorridente il patibolo e porse la testa alla mannaia dopo aver esclamato:


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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