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      Maria Rossetti, misurò la situazione e vide che era mestieri sostituirsi a Serafino. In un baleno strappò l’arma al Benfatti, che le muoveva incontro pazzo di terrore, e fattasi sulla moglie del suo amante la crivellava di ferite, al volto, alla gola, dove le veniva fatto di colpirla.
      L’odore del sangue le dava una specie di ebbrezza. Né lasciò la sua vittima che quando sentì le grida di Serafino e dei parenti che rientravano in tempo per assistere all’orrendo spettacolo.
      Maria Rossetti e Serafino Benfatti, furono immediatamente arrestati. L’uomo confessò il delitto in tutti i suoi particolari, cercando di rigettare la maggior parte di responsabilità sulla sua amante, dalla quale si disse incitato a commettere il misfatto.
      Condannati entrambi alla decapitazione, subirono il supplizio in ben diverso modo.
      Serafino Benfatti si mostrò pentito e contrito del delitto commesso, si confessò e si comunicò esemplarmente e mosse al patibolo confortato dai frati, invocando il perdono di Dio e degli uomini.
      Maria Rossetti, per converso, si conservò impenitente. Accolse la sentenza con un sogghigno. Rifiutò perentoriamente le religiose consolazioni e i sacramenti.
      L’uomo arrivò sul patibolo disfatto dalla paura e senza manco potersi reggere. La donna impenitente pose, per la prima, come ne avea diritto, la testa sotto il ferro, dopo aver rivolto al suo complice uno sguardo di supremo disprezzo.
      L’emozione destata nel pubblico che assisteva al supplizio, fu immensa, indescrivibile. Molte donne ed anco parecchi uomini piangevano.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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