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      Frequentava la buona società ed era assai ben accolto, per la squisitezza delle sue maniere, per il brio della sua parola, colta, fluente, simpatica e per le sue doti fisiche non comuni. Alto e slanciato della persona, col bel viso ovale, di quel colore leggermente olivastro pallido, che esercita tanta influenza sull’animo del bel sesso, illuminato da due grandi occhi neri morati, pieni di sentimento, di passione e di dolcezze, con una bocca carnosa, sensuale, ombreggiata da due baffetti neri, lucidi, fini, come la ricca capigliatura ricciuta, era realmente un bel giovane, nel senso più assoluto della parola. Il suo istintivo riserbo aumentava il fascino che esercitava.
      Le signore lo attribuivano ad una punta di orgoglio suscitatogli da precoci fortune amorose, e si incapricciavano facilmente di lui, smaniose di vincere quel disdegno che credevano ostentasse e che realmente era ben lontano da lui.
      C’era fra l’altre sue conoscenze, conoscenze da salotto, ben inteso, una leggiadra francese, romanizzata che godeva una fama un po’ piccante, la quale si era presa di Timoteo, perdutamente, e mal sapeva tollerare la indifferenza da lui dimostratale.
      Invece di indifferenza era timore ch’ella gli ispirava. Innanzi a quella superba bellezza, il giovane studente si sentiva piccino, piccino, non osava innalzare gli sguardi fino a lei, gli pareva che fosse stata messa al mondo solo «per miracol mostrare.» Il desiderio l’avrebbe attratto verso di lei, ma combatteva strenuamente, negli imi suoi penetrali, siffatto desiderio, giudicandolo, non solo temerario, ma insensato addirittura.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





Timoteo