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      - In che posso servirla, signor Conte?
      - C’è Angelo? - mormorò a voce sommessa l’interpellato.
      Il bettoliere, per tutta risposta, lo accompagnò nel secondo scompartimento dell’osteria, dove il conte vide e riconobbe tosto il suo uomo.
      - Angelo, gli disse sedendogli famigliarmente accanto, su di un barile capovolto, c’è da guadagnare un centinaio di scudi. Ti servono?
      - Pofferbacco, signor Conte, a questi lumi di luna, per cento scudi darei la scalata al cielo.
      - Si tratta di più agevole impresa.
      - Tanto meglio.
      - Invece di salire, bisogna far discendere qualcuno pel burrone del diavolo.
      - Non sarà il primo! - osservò sogghignando il bandito. Si tratta ancora di un marito?
      - No, si tratta d’un amante.
      - Allora si sono invertite le parti.
      - Precisamente. Verso la mezzanotte, un giovinotto sui venti anni, abbigliato da touriste, passa da quella parte, colla sua brava borsetta ad armacollo e l’alpenstock fra’ mani.
      - Glie lo faremo deporre, perché non l’aiuti a risalire. L’ora del resto è buona.
      - No. È meglio aspettarlo al ritorno, verso l’alba. Chi lo attende la notte, non vedendolo comparire, potrebbe concepire qualche sospetto.
      - Precauzione utilissima l’evitarlo.
      - Eccoti dieci napoleoni in acconto: il resto ad affare compiuto.
      Così dicendo il conte porse al bandito un pizzico di monete d’oro, che egli fece saltare nel cavo della mano.
      - Conchiuso! - esclamò il bandito - e il marito oltraggiato se ne andò.
      All’indomani, al primo luccicar del giorno Angelo Isola era appostato al burrone del diavolo, per dove Timoteo doveva passare.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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