Lo sparato della camicia aperta lasciava scorgere l’ampio petto velloso, donde usciva la maschia voce che abbiamo notato.
- Vi sorprende il mio linguaggio?
- Ve lo confesso. Parlate come un dottore.
- E vesto come un artiere: completo il vostro pensiero?
- Precisamente.
- Gli è che sono un po’ poeta? Vi sorprende?
- Non vi offendo rispondendo affermativamente?
- Manco per sogno.
- Beviamoci sopra.
Il gigante tracannò due o tre bicchieri del frascatano, recato dal garzone dell’oste, dopo aver brindato col carnefice, il quale era rimasto al primo. Poi asciugatasi la bocca col dorso della mano disse:
- Mastro Titta, io vi offro la mia amicizia e vi chiedo la vostra: sono Giuseppe Marocco d’Imola, poeta e tornitore.
Il boia si ricordò allora d’averne udito il nome, pronunziato con quella riverenza che dovevano ispirare il suo carattere franco ed aperto e il suo braccio terribile.
- Ben felice d’avervi incontrato - disse il Bugatti. Per quel che valga potete contare su di me, se non vi desta ripugnanza il mio mestiere.
- Non ho pregiudizi, io. So che siete un galantuomo. E questo mi basta. Sono i birbanti che hanno paura della giustizia, de’ suoi ministri e de’ suoi esecutori.
Si strinsero le destre, stettero a lungo a chiacchierare in quel giardino, e si lasciarono promettendo di rivedersi ogni giorno all’osteria.
- La mia casa vi è aperta ad ogni ora - concluse il Marocco - vi troverete sempre un cuore leale e un fiasco di Vin Santo d’Imola, che non ha paura del nettare che bevevano gli antichi iddii.
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