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      La donna si disimpegnò perfettamente; senza aiuto di sorta eresse il patibolo, il quale venne visitato e trovato in eccellenti condizioni di solidità.
      Sull’albeggiare, essendo riuscite vane tutte le ricerche, monsignor Fiscale si fece venire innanzi la moglie del boia e le chiese:
      - Ti senti tu veramente capace di supplire tuo marito nell’esecuzione?
      - Monsignor sì.
      - Senza aiutante?
      - Monsignor sì.
      - Sai che se non ti venisse fatto, o si prolungasse di soverchio l’esecuzione, ti esporresti ad esser fatta a pezzi dalla folla, contro la quale, birri e soldati sarebbero forse impotenti a difenderti?
      - Lo so.
      - E non hai paura?
      - Punto.
      - Brava. Se tutto andrà bene, mercé tua, tuo marito non subirà le conseguenze della sua mancanza e rimarrà in carica. A te, poi, darò una congrua rimunerazione.
      Si fece di tutto perché la cosa non trapelasse nel pubblico, temendosi che la novità sorprendente del fatto avesse a chiamare una maggior quantità di curiosi.
      La carretta uscendo dal carcere, traversò al trotto la via, circondata da un esercito di birri e soldati. La donna stava dietro il condannato, fra due confortatori in modo che tornava impossibile vederla. Ma quando fu giunta a piedi del patibolo e la si vide scendere sorse un immenso bisbiglio da una parte all’altra della piazza. Tutti i binocoli dei signori si appuntarono sopra di lei e incominciarono i commenti.
      Era una donna di mezzana statura, con una gran foresta di capelli neri e folti annodata sull’occipite: aveva il collo taurino, l’occhio lampeggiante; le maniche della veste rimboccate al disopra dei gomiti le lasciavano scorgere le braccia brune e muscolose.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





Fiscale