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      Nel celebre processo che portò al patibolo il Carnesecchi furono condannati ad essere murati in vita «Girolamo Guastavillani gentiluomo, Filippo Capiduro causidico, Ottaviano Fioravanti, mercante bolognese, e Girolamo Dal Pozzo faentino». Un secolo più tardi questa atrocissima pena vigeva ancora.
      La frustatura, applicavasi, quasi per sollazzo del popolo, alle meretrici.
      Questa solevasi infliggere, specialmente quando le prostitute venivano meno al divieto loro imposto di portar la maschera, durante il carnevale. Ed era uno dei più grati divertimenti che si potesse offrire alla plebe romana.
      Il bargello soleva scegliere le più famose e più note, le quali denudate erano fatte correre per la via del Corso, mentre il bargello e i suoi aguzzini le colpivano con delle verghe, fra gli schiamazzi del popolo addensato e delle maschere. Celebre fu la frustatura della «Cecca-Buffona» colta in un legno al Corso, mascherata, insieme ad un domestico della Ambasciata Cesarea (austriaca) per la quale intercesse indarno l’ambasciatore stesso. E parimente quella di «Joanna, la spagnuola» seguita un secolo dopo.
      Ma non ne andavano immuni neppure altri poveri diavoli accusati di piccoli reati. Il mercoledì mattina, reca un foglio degli Avvisi di Roma del 10 febbraio 1635, fu frustato per la città un tale, imputato di falsa testimonianza. Aveva un compagno che doveva subire la stessa pena. Ma quando il carnefice fece per legargli le mani, per sottrarvisi, tentò di ammazzarsi e si ferì con un coltello al collo.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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