Il volto di Arturo, nel pronunziare queste parole erasi infiammato, i suoi occhi roteavano dall'ira, il volto era tutto contratto.
- Calmatevi, Arturo, gli dissi, soffrite in pace la vostra posizione...
- Soffrire in pace la mia posizione? - No, per dio! In pace, no! Soffrirò, gemerò, ma non in pace.
Poi con più pacatezza, soggiunse:
- Voi, Maria, non potete comprendere, quanto sia insopportabile uno stato che non è di nostro aggradimento. - Se un giorno, voi dovrete sopportarlo, allora capirete se giuste o no siano le mie querele.
- Dunque volete disperarvi?
- Se non fosse l'amore che porto a voi, che nutro pei miei poveri genitori, io mi sarei ucciso.
- Ma cosa dite, Arturo?
- Dico quel che sento, quello che deve dire ogni animo, che ripugna alla schiavitù, O viver liberi, o cessare di vivere. - Nell'età in cui mi trovo, non posso dedicarmi ad altra carriera, Mi è giuoco forza proseguire in questa, in cui mi ha spinto un inesorabile destino.
- Speriamo in tempi migliori.
- Questi tempi non verranno mai, Maria; credetelo, non verranno: come non verrà mai il giorno che io potrò chiamarvi mia sposa.
- Perchè?
- Perchè!... e sorrise sinistramente, perchè vostro padre, corpo ed anima d'un re infame o tiranno non acconsentirà giammai alla nostra unione.
- Ma perchè? replicai sconcertata.
- Perchè io, nato da un uomo libero; figlio di onest'uomo; intollerante del dispotismo, non sarò prescelto ad esser vostro.
- Voi mi atterrite. Dunque bisogna separarci?...
- Separarci? - No... mai... Amiamoci. Maria, amiamoci, e in questo soave sentimento riponiamo la nostra fede, la nostra speranza.
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