- Desidero morire da uomo libero, e non servo di chi regna dispoticamente a danno della mia patria infelice.
Prego Dio che vi perdoni il male che mi avete fatto, e lo prego come lo avrei pregato se non mi aveste rapito la maggiore felicità a cui anelava.
State sano.
ARTURO"
Una folgore che si fosse schiantata a miei piedi non avrebbemi sì sbigottita come quella lettura. - Ragunai tutto il mio coraggio, e ripiegata la lettera, mi affrettai ad uscire di casa, trovando la scusa di andare ad udir messa. Rapidamente volai da colui, che doveva rivedere per l'ultima volta. Vi regnava un silenzio di morte, interrotto da sordi e strazianti gemiti. - Il padre di Arturo, fuor di sè dal dolore, si picchiava coi pugni forsennatamente il capo. La madre derelitta, priva di sensi, giaceva sdraiata sur una seggiola. Senza badare a chi siasi, m'inoltro nella camera dell'agonizzante, il quale stava supino, con gli occhi chiusi, immobile, assistito da Celso, e da un prete.
Mi appressai, gli passai una mano sulla fronte bagnata di sudore. Era fredda come un marmo. Appressai le mie labbra alle sue per sentire se respirava - alitava appena. - V'impressi un bacio - il primo bacio d'amore a cui siansi schiuse le mie labbra: bastò questo lievissimo tocco per scuotere Arturo dal suo sopore. Aprì gli occhi, sfiorò un sorriso, volle profferire una parola, che a stento pronunziò "Maria" quindi li richiuse per non aprirli mai più.
Il prete, e Celso si avvicinarono. - È morto! dissero. Non udii più nulla, non so come tornai a casa, nè quello che mi accadde: ricuperai il mio intendimento, solo quando un medico ebbe finito di salassarmi, e giacqui malata per più di quindici giorni.
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Dio Arturo Celso Arturo Celso
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