Il letto mi sembrava spinoso. Come Dio volle l'alba spuntò, e si fu allora che potei gustare un poco di riposo, ma di breve durata, perchè la mia conversa mi svegliò per andare ad udir la messa.
Mi alzai, e la seguii. Giunta nel coro, vidi una quantità di monache inginocchiate, astratte, cadenti chi dal sonno, chi da eccessiva debolezza; svogliate masticando preci mentalmente, col pensiero vagante, osservando ora questa, ora quella, bisticciando all'orecchio della compagna i difetti di quella, i commenti su tal altra, e frizzando una terza che non godeva la sua stima.
Finita la messa, mi trovai circuita da tre o quattro monache non esclusa Dorotea, le quali decantavano la mia bellezza. il mio portamento, le mie grazie.
- Non m'incensate tanto, rispondeva io, non mi appiccicate delle qualità che non ho.
- Sapete, che sareste una bella monaca?
- Possa il vostro augurio non avverarsi giammai!
- E perchè? rispondeva l'altra.
- Perchè è uno stato contro la mia vocazione, e in così dire, le lasciai bruscamente. Sentii bisbigliare varie cose sul mio conto: non vi diedi orecchie.
Giunta nelle mie stanze, mi si appressò la conversa, e in tuono piuttosto autorevole, mi disse:
- Vi avverto, signorina di essere più docile, più cauta, e di parlare con meno arroganza.
- Ed io vi avverto, ripresi alquanto risentita, di non seccarmi in tal guisa.
- Non alzate tanto la voce, e siate più sommessa! soggiunse imperativamente.
- Io non dipendo da voi, e se credete farmi da padrona, fino da questo momento vi licenzio.
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Dio Dorotea
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