Ma che vale lottare contro il destino?
In questo convento trovai gli stessi scandali donneschi, le stesse abitudini, le stesse gelosie, gli stessi pettegolezzi, i medesimi vizii, la medesima cancrena.
Quivi egualmente i preti sono onnipotenti. La stessa mania in essi di sacrificare una povera fanciulla a seppellirsi viva in un convento.
Ebbi per confessore un galante pretino, tutto smorfie, tutto svenevolezze; mi sembrava vedere un Narciso complimentare la sua bella.
Le monache pure di questo convento eran tutte unisone a ripetermi che mi fossi fatta monaca, che il Signore lo bramava, ed il santo protettore del convento ne avrebbe gioito dall'alto del trono celeste.
Una mattina, dopo due mesi che mi trovava nella nuova reclusione, fui chiamata dall'abbadessa che mi lesse una lettera di mio padre diretta ad essa ove in istile laconico e reciso esigeva che io avessi preso il velo.
A tale annunzio mi misi a piangere dirottamente. L'abbadessa, donna mite, sensibile, e veramente buona, cercò di consolarmi, e mi disse tante buone parole che lenirono il tanto affanno che mi crucciava.
- Ascoltatemi, mi diceva, figliuola mia, il pianto non vale a nulla, quando si ha la disgrazia di esser nati sotto una stella avversa. È d'uopo armarsi di quel coraggio che ci rende superiori a noi stessi: gettarsi nelle braccia del Signore, rassegnarsi ad esso, e vuotare tutto il calice della sventura che ci sovrasta. Sì mia cara fanciulla: orbata della madre, con un padre che non sente i sacri effetti di natura, che fare?
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Narciso
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