- Devo sperare?
- Sperate.
Risposi francamente.
CAPITOLO XII.
La clausura delle monache.
L'unica regola che si osservi nei chiostri è la clausura strettamente detta: comunque però si violi apertamente coll'arbitrarsi a scendere per la chiesa, pel coro, pel giardino, alle finestre per amoreggiare, o per isfogo di un'indiscreta curiosità.
Chi non è stato recluso ignora l'effetto che produce la reclusione, motivato dalla privazione della libertà, dalla stucchevole uniformità della vita, dalla lunga e penosa monotonia che dirige tutte le nostre azioni, dalla pessima educazione che vi si propaga, e da tante altre cose, che tutte unite fan sì che la maggior parte delle recluse sono o finiscono realmente pazze.
Accade lo stesso nelle carceri cellulari.
I benefattori dell'umanità, i legislatori, i governi stessi, han mai sempre dimenticato i poveri reclusi. Voglia Iddio che queste mie pagine abbiano la fortuna di risvegliarli, e possano essi prendere degli efficaci rimedii a pro di tanti infelici.
Come è mio costume addurrò qualche fatterello riguardante la clausura delle monache.
Una mattina mentre ascoltavano la messa, soppraggiunse l'abbadessa scarmigliata, malamente vestita cogli occhi di bracia. Si sofferma, gira il capo a destra e a sinistra, poscia esclama:
- Sono o non sono la vostra abbadessa?
Tutte ne restammo sorprese.
- Ebbene, non rispondete, maledette da Dio?... Sono o non sono la vostra abbadessa?
- Sì, la siete, rispose la priora appressandosi ad essa.
- Vi condanno tutte al fuoco eterno!
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Iddio Dio
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