Le stesse monache deluse, ignoranti, pettegole, maligne, invidiose. Gli stessi vizi, le stesse aberrazioni mentali, i medesimi pregiudizi, i medesimi falli, gli stessi delitti.
Durante la mia convalescenza venne il cardinale a farmi visita. Egli licenziò la mia conversa, e rimanemmo soli.
- Come state? mi dimandò.
- Alquanto bene.
- L'animo vostro si è calmato?
- No.
- E quando cesserà la vostra ostinatezza?
- Quando avrò ricuperata la mia libertà.
- E sempre... - Supponiamovi libera, nel gran mondo, in mezzo alle follie mondane, cosa fareste?
- Quello che fanno le altre donne. Mi divertirei, adempiendo però ai doveri che mi sarei imposti.
- Andereste ai balli, ai teatri, in licenziose conversazioni... in iscandalosi ritrovi.
- Voi mal v'apponete. Con questo vestito uscirei appena di casa.
- Voi libera non sareste donna da continuare a portare coteste vesti, credetemelo: voi le gettereste in un canto, ed andereste anche a farvi saracena.
Tacqui.
- Confessatemi la verità. Voi siete portata al matrimonio?
- Non ci penso neppure.
- Il vostro cuore è spento all'amore, al desiderio, all'ebbrezza de' sensi?
Tacqui.
- Su via! Rispondete! Non fate il broncio. Non sciupate cotesto bel viso. Voi sì bella! sì ben fatta! Ed esser così cattiva!... Ah!... Gettate lungi da voi cotesto abito di disprezzo!... Schiudete l'anima vostra alla gioia...
Le parole pronunziate con tanto calore, la fisonomia spirante sensualità, mi dettero a conoscere cosa il cardinale volesse tentare. Mi posi in guardia. Egli se ne accorse, riflettè un poco, e continuò:
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