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      Il fatto non è così. Il fanciullo non poteva essere restituito perchè non fu mai rapito alla sua famiglia, fu sottratto prima che le autorità di Roma se ne potessero occupare, e quella Congregazione dopo maturo esame non si curò d'altro. L'autore co' suoi forse, è coi probabilmente si difende zoppicando dalle allegazioni di fatti che accusano la sua dottrina, ma se sulla patente di eresia e di anticattolicismo che con tanta disinvoltura regala il nostro teologo al vescovo vicario di Casale, alcuno gli chiedesse: perchè questo vescovo stabilisce massime condannabili, false ed anticattoliche, e dal sommo pontefice non si provvide a tanto scandalo, non si ammonisce con severa censura il propagatore di eretiche dottrine? E nulla di simile fu eseguito dalla Corte di Roma; che se ciò fosse accaduto ei non avrebbe tenuto celato così preziosa prova della santità dei suoi precetti: e come risponde il nostro classico apologista? Nulla, egli non se ne occupa, non si abbassa a censurare quegli eretici di Amedeo, di Carlo VI e di Paolo III o per ragioni forse di prudenza conserva per quegli alti personaggi un misurato silenzio.
      Strana e singolarmente inconcepibile è l'ira colla quale s'arrovella il nostro autore, per la tirannia di quel «potente, che strappando alle famiglie anche principesche i teneri nati, li mandava in terra straniera a pericolare nella fede dei padri». Quasichè simili tirannie cambiassero di natura col cambiar di scena da Pietroburgo a Bologna, dalla Siberia a Roma (15).


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Roma e la opinione pubblica d'Europa nel fatto Mortara
Atti documenti confutazioni
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