Tutte queste questioni sembrano risolute dalla condotta dell'autorità ecclesiastica. Il battesimo del fanciullo ebreo aveva fatto troppo rumore in Bologna perchè S. E. il cardinale Viale-Prelà restasse inattivo, bisognava applicare di conseguenza i canoni della Chiesa che riguardano i figli entrati nel suo seno col battesimo, o correre il pericolo di un immenso scandalo agli occhi de' cattolici. L'autorità fece dunque dimandare al Mortara, se egli intendeva educare suo figlio cristianamente, gli si offrono i mezzi, ed erano capaci di conciliare i suoi diritti paterni con quelli della Chiesa (21). Dopo reiterati rifiuti, l'arcivescovo di Bologna non consulta più che il suo dovere, il fanciullo fu condotto a Roma al Catecumenato, e al medesimo istante in cui egli abbandonava Bologna, se ne istruiva il padre che avrebbe potuto seguirlo se egli avesse voluto (22). In questo caso egli si sarebbe assicurato co' suoi propri occhi che non si trattava di sequestrare suo figlio, di fargli rompere i suoi legami naturali, molto meno imporgli colla violenza corporale o morale una professione di fede, ma solamente di procurargli, in una casa che non è altro che una pensione, un'istruzione religiosa, sufficiente per metterlo d'accordo se egli il voleva colla grazia del ricevuto battesimo, mentrechè se fosse egli rimasto a Bologna nella sua famiglia, ei non avrebbe giammai potuto sapere solamente ciò che era il sacramento che lo aveva fatto figlio di Dio e della Chiesa. Ciò è sì vero, che tosto arrivato a Roma per seguire questo mutamento, Mortara padre ha potuto vedere suo figlio e comunicare con lui tutte le volte che egli ha voluto.
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