Questo primamente viene provato da un altro decreto di Martino V, dato agli Ebrei nell'anno 1429, nel quale tra l'altre cose dispose che niuno degli ebrei fosse battezzato senza espresso consentimento dei genitori o di uno di essi quando non fosse capace di discrezione.
In secondo luogo si comprova da una sentenza data in una causa forense, confermata e passata in giudicato, ed eseguita, proferita sì dal re che dal pontefice Paolo III da lui delegata nel 1539, nel caso che un giovinetto ebreo minore dei 7 anni venne battezzato contro volontà de' parenti, e fu restituito per sentenza dopo giudicio contraddittorio fino a tanto che non avesse compiuto l'età dei 12 anni, prestandosi da essi cauzione di presentarlo in tale epoca al vescovo e di non subornarlo e ritrarlo dalla religione cristiana.
Per altra sentenza del cardinal Francesco Sfondrati, seguita in Roma il 27 giugno 1547 e registrata negli atti di Pietro Reverio pubblico notaio, fu decretata la restituzione dell'Angelo e del Samuele fanciulli israeliti, quantunque battezzati, ad un certo Vitale loro legittimo tutore, depositati prima da esso dugento scudi d'oro, qual garanzia dell'obbligo assuntosi di presentare a chi di ragione i due pupilli per farne interrogare la volontà sulla religione da seguire, tosto che avessero compiuto il dodicesimo anno della loro età.
Il 10 febbraio 1639 il vicario di monsignor Angelo Maffei vescovo di Casale, emanò, per ordine della S. Congregazione de' vescovi; una notificazione, ove oltre le pene comminate a quelli che ardissero battezzare i fanciulli ebrei, invitis parentibus, si dichiara eziandio che non verrebbe riconosciuto valido l'abusato atto sacramentale (All° n. 3).
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