Quando essi dunque o si stabilirono in Bologna o vi rimasero, se ne sono oriundi, essi, secondo le norme legali furono sommessi a tutte le leggi che vi sono in vigore, e furono riputati averle tacitamente accettate. Certo, quando fossero parute loro troppo dure, erano nella piena libertà di andarne altrove, e non mancano paesi in questo mondo, dove non si farebbe in nessuna guisa ciò che, fatto in questi Stati, fa tanto inarcare le ciglia, come a cosa mai più non vista. Ma essi ed i loro consorti di credenza, se vogliono rimanervi, hanno mal garbo a pretendere che vi si modifichi la legislazione a comodo della gente giudaica.
E vi è ancora di più: la Chiesa ha avuta tanta preveggenza e tanti discreti riguardi, perchè non avvenisse ciò che essa non potrebbe disfare, quando fosse avvenuto, e che la obbligherebbe a passar sopra alla paterna autorità, che non paga a quella proibizione, ha inibito agli Ebrei di tenere al loro servigio persone cristiane, ed a queste ha strettamente raccomandato di non addirsi stabilmente ai servigi di famiglie ebree, e ciò perchè lo zelo mal consigliato di alcuna di esse non le sospingesse a fare quello, a cui non si potrebbe porre riparo, che con un taglio alquanto acerbo. Ora nel nostro caso i genitori del piccolo convertito trasandarono manifestamente quelle prescrizioni, ordinate appunto ad assicurare i loro diritti. Di niuno dunque si possono lamentare se, seguito il fatto, si sia proceduto all'applicazione di una legge, la quale essi, come Ebrei, non sono certo tenuti ad intendere secondo il vero suo spirito, ma alla quale sono singolarmente strani, quando intendono di sottrarsi a furia di lai pietosi, di chiacchiere giornalistiche, d'insistenze più o meno rispettose dalla parte di rabbini, di giudei, di giudaizzanti e di quella turba di scredenti, i quali, purchè si faccia onta alla Chiesa cattolica ed al supremo suo Capo, farebbono comunella non che cogli Ebrei e coi Turchi, ma col diavolo.
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