Erano sette - numero mistico; numero cabalistico! - erano sette; ma ad un'occasione potevano passar benissimo per ventiquattro: seduti a cena, per esempio, o in un coro, o in una rissa... La loro sede ufficiale e pubblica era dal tabaccaio sull'angolo d'una contrada centrale. Fuori di là neppur il diavolo avrebbe saputo trovarli con certezza, e in casa meno che altrove.
Quand'erano seduti in circolo intorno al braciere del tabaccaio sarebbero parsi i piú buoni figliuoli del mondo, che non pensassero ad altro che a fumare il maggior numero di sigari, e ad affumicare il maggior numero di pipine possibile. Ma una volta che si alzavano e si avviavano a qualche impresa... guai al luogo dove avessero stabilito di far serenata... guai alle spalle su cui dovevano cadere quei pugni... guai alla pattuglia che avesse voluto far con essi il bell'umore!
Questa piccola società non avea uno scopo apparente fuori di quello di riunirsi a fumare ed a ciarlare. L'amicizia e una certa conformità di carattere, di posizione e di gusti pareva legasse fra loro i sette membri di questa misteriosa compagnia. Ma il tabaccaio, in un angolo della cui bottega essi erano venuti ad installarsi, la pensava altrimenti; e, quantunque sapesse che, a Milano, la sola conoscenza e il bisogno di scambiar parole bastassero a riunire, ad una data ora d'ogni giorno dell'anno, certe persone, in tutte le osterie ed in tutti i caffè; pure avea dovuto persuadersi a lungo andare che una ragione piú seria e piú segreta legava fra loro que' suoi sette avventori.
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Milano
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