- gli chiese Emilio, montando due a due i gradini dell'angusta scaletta.
- Ho gli ultimi dodici marenghi delle duecentocinquantamila lire che mi lasciò mio padre morendo - rispose Gastoni.
- E poi?
- E poi, o in un reggimento di cavalleria piemontese, o una buona palla di pistola nel cuore.
E per quella notte Emilio dimenticò Noemi.
Il giorno dopo la povera Noemi era stata messa a piú terribile prova.
Aveva rifiutato di accompagnare il nonno alla trottata prima di pranzo, e se ne stava nel suo gabinetto mestamente seduta ad una finestra, che guardava sulla corte, quando vide entrar in casa suo marito, accompagnato dal suo agente di cambio, al quale ei parlava piú vivamente del solito.
Noemi dal giorno della colpa non poteva vedere suo marito senza provare nell'animo un senso di torbida paura.
Che non fu dunque, allorché, - intesolo entrare nella stanza vicina, mentre l'attraversava per entrar nel suo studio - lo udí pronunciar distintamente il nome di Emilio Digliani?
La sventurata donna sentí arrestarsi il sangue nelle arterie, e un freddo mortale invaderle il corpo. Portò le mani alle tempia, come se vi provasse un gran dolore e sclamò fra sé:
- Sa tutto! Sono perduta!
Questa idea le si affacciò in tutta la sua terribile gravezza... e sentí paura.
Il Dal Poggio si fermò nel suo studio, che era attiguo al gabinetto in cui si trovava Noemi.
Ella si levò barcollando; sulla punta dei piedi s'accostò all'uscio, e trattenendo l'alito, stette ad origliare.
- Il fatto è che ci vuole una bella audacia a quest'ora; - diceva l'agente di cambio, terminando una frase di cui Noemi non aveva potuto cogliere il resto - E la ferita è grave?
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