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      CAPITOLO SETTIMO
     
      PANDEMONIO
     
      Tredici persone - sette giovani e sei ragazze - stanno sedute a tavola in una sala superiore dell'albergo del Rebecchino, facendo ciò che in questa valle di lagrime si usa far dai mortali seduti a cena.
      Le mie sentimentali lettrici mi faranno forse un rimprovero d'essere uscito da un pranzo per entrar in una cena.
      Io non ripeterò per iscusarmi il triviale proverbio: che a tavola non s'invecchia. Farò loro osservare soltanto che, come nel pranzo non parlai né di piatti né di portate, cosí della cena non narrerò che il dialogo.
      Si era già a quel punto in cui nessuno piú ascolta e tutti parlano in una volta, incrocicchiando in mille guise i discorsi, sfiorando gli argomenti a centinaia, or qua, or là, sviati e interrotti dai brindisi, dalle risa, e dalle grida.
      Teodoro, incaricato da Emilio, aveva fatto le cose degnamente, anzi splendidamente. Lo sciampagna - fabbricato chi sa dove - si versava - non dirò proprio a torrenti - ma a ruscelletti, e l'orgia delle parole aveva invaso la sala.
     
      - ... Il duello? Bella novità! Chi non lo sa che è un famoso assurdo? Quante volte non fu detto e non fu scritto che... Sí, bravo, dammi ancora un po' di quel gelato... che bisognava pensare ad abolirlo?... Ma provati un po' tu a rifiutarti di batterti con me, se mi venisse il grillo di gettarti in viso questo bicchiere?
     
      - ... Lo si lascia, o lo si sposa, se è possibile. La miglior maniera di lasciare un amante è quella di sposarlo. Sei del mio parere, Teresa?
     
      - ... Solenne ingiustizia!


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La scapigliatura e il 6 febbraio
di Cletto Arrighi
pagine 243

   





Rebecchino Emilio Teresa