Fin dal primo giorno del suo matrimonio, l'infelice, coll'idea di educar Noemi alla vita coniugale, le era andato recitando una litania di massime, di precetti e di aforismi cosí pedantescamente pesanti, da inorridir l'amore e da farlo scappar lontano un miglio: il matrimonio, per esempio, non essere pretesto di piaceri, ma vita di doveri e di sagrifizii reciproci: la felicità coniugale non star nell'amore ma nel dovere:... e cosí via.
Noemi sulle prime aveva ascoltato suo marito colla mansuetudine d'uno scolaro di buona voglia; ma poi a poco a poco era accaduto nel di lei cuore il fatale fenomeno dell'antipatia che la doveva portare alla colpa.
Quanto al Dal Poggio, persuaso che Noemi non potesse per tutta la vita mutar d'un pelo i suoi sentimenti, dacché ei l'aveva munita di cosí solidi principii, viveva tranquillo nella sua sicurezza, la quale gli durava sempre come un'abitudine, come una convinzione.
Le parole del vecchio Firmiani non potevano dunque avergli dato che un leggero sospetto quello cioè, che Noemi, vedendosi un po' trascurata, non respingesse, come avrebbe dovuto, le galanterie di qualche adoratore. E non era il timore sollecito di chi teme di perdere un tesoro, che gli mettesse nell'animo quel po' d'angustia; era la paura che il mondo potesse dir qualche parola leggera sul suo conto.
Stette lí lí per confessare a sé stesso d'aver avuto un po' torto a non sorvegliare con maggior cura la condotta di sua moglie; nondimeno, pensando poi alla causa che gliel'aveva fatta trascurare da tre anni in poi, aveva finito col trovar ancora d'aver tutte le ragioni.
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