- Signor Digliani, mio padrone, la riverisco; - diss'egli con voce arrochita - Finalmente che lo si può allumare, lo si può! Cosa vuol dire?
- Ah sei tu, Lisandro?! - sclamò Emilio dopo averlo sbirciato da tutte le parti - Chi diamine ti avrebbe riconosciuto in questi panni?
- Eh messire che vuole? Si fa come si può. Una volta l'andava un po' migliore d'al presente. È un costume questo che ho inventato io, ho inventato. Il signor Niso, che m'incontrò anche lui prima di entrar in teatro, ne fece una sgangherata.
- E dove andate?
- Andiamo laggiú alla Foppa a soffiare un tantino nella vetriuola prima di tornar in teatro a danzar l'ultimo.
- E i compagni non t'aspettano?
- Eh! li troverò li apostoli; - rispose Lisandro - Ci siam dato il santo laggiú, dove ce n'è del buono.
- E chi sono?
- Chi gli apostoli?
- Sí.
- Eh sa bene, i soliti. C'è lo Spadon dei dodici...
- Paolino?
- Sí; poi c'è il Disma e il Michele colle rispettive smilze; - e s'accarezzò il mento - poi c'è il Gabiola e due altri del Borgo che lei non conosce.
- Se l'avessi saputo... - sclamò Emilio, quasi fra sé, attorcigliandosi i mustacchi colla sinistra.
- Ah! c'è anche il Fanfirla che mi scordavo; - interruppe Lisandro che stava contando i suoi compagni sulle dita - e pago io.
Cosí dicendo aprí le braccia in atto di chi offre, e soggiunse:
- Se posso? da povero figliolo.
- Vestito cosí, no; - rispose Emilio sotto voce - darei troppo nell'occhio; ma giacché mi hai detto che c'è Paolino, ci verrò, perché debbo parlargli.
- A proposito; - sclamò Lisandro con mistero - è già una settimana che egli aspetta vossignoria per aver ordini, e che si meraviglia di non vederla venire.
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