Il cappello che essa recava alla Firmiani fu provato, riprovato ed approvato. Cristina fece molti elogi lusinghieri al buon gusto della Gigia, poi mentre questa si disponeva ad andarsene:
- Dunque fanciulla, - le disse facendo l'occhiolino d'intelligenza al Dal Poggio - questo tuo Emilio Digliani ti vuol bene o non ti vuol bene?
All'udirsi ripetere quel nome, la Gigia fu scossa come da una scarica elettrica e il pianto le ricorse negli occhi.
- Mio? - sclamò dolorosamente abbassando la testa sul seno - Non è piú mio.
- Eh via! - sclamò Cristina facendo atto di meraviglia - Ma che hai tu, povera ragazza? tu piangi.
La Gigia non rispondeva, e le lagrime le gocciavano grosse dagli occhi sul tappeto del pavimento.
- T'avrebbe egli lasciata? È forse partito da Milano?
- No;... mi tradisce;... ne ha un'altra.
- Oh non sarà poi vero!... mi rincresce povera fanciulla... ma non sarà vero;... consòlati.
- So tutto... Ho veduto io stessa pocanzi, con questi occhi;... ora non potrà piú negarmelo... Era lei.
- Che cos'hai veduto? - chiese la Firmiani gettandole quella domanda colla solita noncuranza, mentre fingeva d'essere intenta a ravviarsi i bandeaux dinanzi allo specchio.
- Ho veduto la signora che è adesso la sua amante; - rispose la Gigia - l'ho veduta entrare in casa sua... Ora non ho piú dubbio.
Cristina guardò in viso al Dal Poggio e stette muta come donna che teme di proseguire un discorso pericoloso.
Il Dal Poggio divorava la Gigia collo sguardo; era pallido; ma non mostrava altra emozione.
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