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      In tal modo quelli stessi che prima del pericolo avevano avversato a tutto potere l'insano progetto; quelli stessi che a mente fredda avevano rigettato energicamente ogni complicità in una rivolta a pugnali, senza probabilità di riuscita: ...al primo grido di libertà, al primo squillo d'allarme erano discesi nella strada, e s'erano gettati nella mischia colla disperazione del suicida.
      Diverse cause avevano prodotto in ciascuno di quei quattro sventurati lo stesso effetto. Insofferenza del giogo - smania di lotta e di sangue austriaco - miseria - speranze perdute - disperazione della vita.
      Nel momento supremo, ciascuno, credendo forse di essere solo, s'era determinato a far ciò da cui poco prima aveva cercato di dissuadere gli altri; tutti e quattro, senza volerlo, senza saperlo, si erano ingannati a vicenda.
     
      Erano vissuti da scapigliati; erano morti da eroi. Da certi uomini gravi furono chiamati assassini.
     
      Due giorni dopo sette forche stavano piantate dinanzi alla porta del castello.
      Da una di esse spenzolava Lisandro, fatto prigioniero mentre stava ergendo la barricata; e quantunque non avesse ucciso nessuno, quantunque non avesse sparso neppur una stilla di sangue - strana cosa! - anch'egli fu chiamato assassino.
      Assolutamente a questo mondo non si adora che il successo!
     
      EPILOGO
     
      Dal 6 febbraio 1853 sono passati piú di due anni.
     
      Siamo in estate del 1855; l'anno del cholera, e della guerra di Crimea.
     
      È un magnifico mattino di agosto. Il sole da qualche ora uscito di dietro alle vette dei monti di Val-Travaglia, che sovrastano a Porto ed a Luino, diffuso con luce spanta e vaporosa sulla vasta superficie del Verbano, va suscitando innumerevoli punti luminosi sul tremulo cristallo delle acque, che sembrano palpitare innamorate sotto il suo raggio.


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La scapigliatura e il 6 febbraio
di Cletto Arrighi
pagine 243

   





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