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      Il giorno dopo, a una distanza di più di cento verste da quel villaggio, facevano i conti con un distaccamento di cavalleria magiara, che aveva punito i contadini oppure impiccavano i militi della guardia nazionale.
      La guardia era allarmata. Erano allarmate le autorità austro-germaniche. Inviavano interi battaglioni per sconfiggere e catturare Machnò, ma invano. Cavalieri meravigliosi, abituati a cavalcare sin da piccoli, con la possibilità di cambiare cavalli per istrada, Machnò e i suoi partigiani erano assolutamente inafferrabili: compivano nello spazio di 24 ore percorsi che un normale reparto non avrebbe mai potuto compiere. Più di una volta, quasi a burlarsi dei nemici, Machnò appariva nel centro di Guliai-Pole o a Pologhi, dove solitamente erano forti distaccamenti austro-tedeschi, o in altri luoghi dove erano ammassate forze militari, uccideva gli ufficiali che gli capitavano sottomano e scompariva sano e salvo, facendo perdere ogni traccia di sè nello spazio di mezz'ora. Oppure, proprio quando sembrava che le traccie fresche permettessero di circondarlo in un villaggio, Machnò, con un gruppo di partigiani, tutti travestiti da militi della guardia nazionale, si cacciava proprio tra le braccia del nemico, si informava dei suoi piani e degli ordini ricevuti, partiva con una brigata nemica alla caccia di se stesso e durante il cammino eliminava tutti gli avversari.
      Nei rapporti con le truppe austro-tedesche e ungheresi, era regola comune ai partigiani uccidere gli ufficiali, ma lasciare andare i soldati caduti prigionieri, proponendo loro di tornare in patria a raccontare come agivano i contadini ucraini e a lavorare per la rivoluzione sociale.


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Storia del movimento machnovista
di Pëtr Andreevic Aršinov
pagine 356

   



Versione con traduzione di Virgilio Galassi




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