Poichè la personalità di Machnò era nota in tutto il paese come quella di un eroe benemerito della rivoluzione e di un capace comandante militare, il comitato dei comunisti bolscevichi gli propose di assumere il comando delle brigate operaie e di quelle del partito. E Machnò accettò.
Come aveva fatto spesso e come spesso fece anche in seguito, ricorse a uno stratagemma. Caricate le truppe su di un treno, le fece passare, quasi si trattasse di un treno operaio, attraverso il ponte sul Dnepr ed entrare direttamente in città. Il rischio era grandissimo. Se i petliuristi avessero conosciuto l'inganno anche pochi minuti prima dell'arrivo del treno, avrebbero potuto catturare tutti. Ma il rischio apriva ai machnovisti la via della vittoria. Appena il treno fu fermo, le truppe rivoluzionarie, inaspettate, ne balzarono fuori, occuparono la stazione e la parte della città adiacente a questa. Nel centro si svolse una battaglia accanita che terminò con la sconfitta dei petliuristi. Tuttavia qualche giorno dopo, a causa della vigilanza insufficiente della guarnigione machnovista, la città tornò ai petliuristi, giunti con nuove forze dalla parte di Zaporozhe. Durante la ritirata, a Nizhne-Dneprovsk, attentarono due volte a Machnò, ma le bombe gettategli contro non esplosero. L'esercito machnovista si ritirò nella zona di Sinelnikovo. Da quel momento al confine nord-occidentale della regione machnovista si formò un fronte fra machnovisti e petliuristi. Tuttavia le forze di questi ultimi, formate per la maggior parte da contadini insorti e mobilitati obbligatoriamente, cominciarono a disperdersi non appena vennero in contatto con i machnovisti.
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Versione con traduzione di Virgilio Galassi
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