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      Per Machnò la situazione era divenuta estremamente difficile: o abbandonare completamente i reparti coi quali aveva vissuto i momenti più gravi della rivoluzione ucraina, oppure invitarli alla lotta contro i bolscevichi. Questa seconda soluzione gli pareva inattuabile per la decisa avanzata di Denikin. Pure Machnò, con l'acume e con il senso rivoluzionario che gli erano propri, uscì dalla difficile situazione nella maniera più brillante. Si rivolse alle truppe degli insorti con un lungo proclama, fece chiara la situazione del momento, spiegò le sue dimissioni e pregò gli insorti di tenere fronte contro Denikin con l'energia di prima, senza turbarsi se momentaneamente si sarebbero trovati sotto il comando bolscevico.
      A seguito di tale proclama una buona metà dei reggimenti machnovisti restò al suo posto, sotto il comando rosso, alla stessa stregua degli altri reparti dell'armata rossa.
      Ma nello stesso tempo i comandanti dei reggimenti degli insorti concertarono di aspettare il momento opportuno per riunirsi tutti sotto il comando di Machnò, senza con ciò recare danno al fronte esterno. (Questo momento, come vedremo più sotto fu poi determinato dagli insorti con una chiarezza e una precisione meravigliose).
      Quindi Machnò scomparve con un piccolo reparto di cavalleria.
      Il reggimento degli insorti, preso il nome di reggimenti rossi, sotto il comando dei loro precedenti capi - Kalashnikov, Kurilenko, Klein, Dermengi, e altri - continuarono a combattere contro Denikin trattenendo l'impeto delle sue truppe ad Aleksandrovsk e a Ekaterinoslav.


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Storia del movimento machnovista
di Pëtr Andreevic Aršinov
pagine 356

   



Versione con traduzione di Virgilio Galassi




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