Allora Machnò avrebbe dovuto portarle nelle sue file, ma la sua attenzione era concentrata su un altro oggetto.
Già da molto tempo sullo sfondo dell'attività rivoluzionaria ucraina si muoveva una macchia scura, dalla quale Machnò non aveva mai staccato gli occhi. Si trattava del movimento di Grigoriev.
Grigoriev, quantunque dopo il primo momento di rivolta alla autorità sovietica fosse subito caduto molto in basso, pure non era finito del tutto; fortificatosi con alcune brigate nella provincia di Cherson, conduceva la lotta partigiana contro i bolscevichi. L'insieme dei reparti, dispersi nella provincia sotto la sua influenza, arrivava ad alcune migliaia di uomini. Queste brigate assalivano spesso piccoli reparti dell'armata rossa, li disarmavano, occupavano qualche borgata, soprattutto interrompevano le linee ferroviarie.
E questo era il loro metodo; per la lunghezza di due o tre rotaie toglievano le caviglie dalle traversine; in un punto di giunzione staccavano una rotaia dall'altra; alle estremità libere attaccavano diverse paia di robusti buoi, con i quali curvavano a semicerchio le rotaie già staccate dalle traversine.
Grigoriev si era mostrato abile tecnico della lotta partigiana. Nella regione fra Znamenka Aleksandria e Elisavetgrad comandava più lui che i bolscevichi. Tuttavia Grigoriev combatteva l'autorità bolscevica per motivi privati, quindi controrivoluzionari; non per ragioni rivoluzionarie.
Non aveva una precisa ideologia; si attaccava ai più vicini: prima ai petliuristi, poi ai bolscevichi, quindi di nuovo ai petliuristi, infine ai denikiniani.
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Versione con traduzione di Virgilio Galassi
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