La ritirata si svolse in mezzo a continue battaglie. Il gruppo dei denikiniani, che inseguiva Machnò, si distingueva per tenacia e fermezza: valorosi si dimostrarono specialmente i reggimenti composti da ufficiali, il 1° di Simferopoli e il 2° di Labinsk. Partecipando ai combattimenti contro di loro, Machnò ebbe modo d'ammirarne l'imperturbabilità e il disprezzo della morte. La cavalleria di Denikin meritava i più grandi elogi. Machnò diceva che era veramente degna di essere chiamata cavalleria. La numerosissima cavalleria rossa, creata in seguito, era invece tale soltanto di nome.
Incapace di dar battaglia a corpo a corpo, entrava in azione soltanto quando il nemico era già stato battuto dal fuoco dell'artiglieria e delle mitragliatrici. In tutta la guerra civile la cavalleria rossa non attaccò mai a colpi di sciabola la cavalleria machnovista, quantunque le fosse sempre superiore numericamente. Molto diversi erano i reggimenti di cavalleria cosacca e caucasica agli ordini di Denikin: attaccavano sempre a colpi di sciabola, caricando il nemico di gran galoppo, senza aspettare che il fuoco dei cannoni e delle mitragliatrici lo avesse prima disorganizzato.
Ma anche questa cavalleria fu spesso rotta dalla resistenza accanita dei machnovisti. I comandanti dei reggimenti denikiniani nei diari composti dopo le battaglie con i machnovisti osservavano spesso che la guerra con la cavalleria e l'artiglieria di Machnò era l'affare più difficile e più strano di tutta la campagna.
Da metà agosto 1919 il gruppo denikiniano cominciò a stringere sempre più fortemente Machnò cercando di prenderlo da diverse parti.
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Versione con traduzione di Virgilio Galassi
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