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      Anche Uman fu da quelli occupata. Era venuto il momento di azioni rapide. Si decideva il destino di tutto l'esercito degli insorti machnovisti.
      La ritirata dei machnovisti aveva coperto uno spazio di più di seicento verste e durava, in mezzo a tante complicazioni, da circa quattro mesi.
      Era stata accompagnata da estreme difficoltà. Gli insorti erano senza scarpe, erano laceri. Nella calura tremenda, tra nubi di polvere, battuti da una pioggia continua di proiettili, si erano allontanati dal loro paese verso una terra ignota. Ma tutti, animati dall'idea della vittoria, avevano sopportato pazientemente il peso della ritirata. Talvolta s'era udito il grido: «indietro! al Dnepr». Ma una necessità inesorabile li aveva spinti sempre più lontano dal Dnepr, dalla terra amata, dai loro fieri paesi.
      E con grande pazienza, con la volontà tesa, battuti dal fuoco nemico, erano andati tutti dietro al loro capo. Fine della ritirata era stata Uman. Oltre non si poteva andare da nessuna parte. Il nemico era ovunque. Ma ecco che a questo punto Machnò, con la semplicità che gli era propria e che sapeva sollevare l'entusiasmo nei compagni, dichiarò che tutta la ritirata era stata una mossa strategica imprescindibile e che la guerra vera sarebbe cominciata il giorno dopo, 26 settembre. Aveva studiato la posizione delle truppe denikiniane a nord e sugli altri fronti e si era convinto che il destino gli aveva fatto un dono stupendo: la possibilità di portare il colpo mortale a tutta la controrivoluzione denikiniana.


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Storia del movimento machnovista
di Pëtr Andreevic Aršinov
pagine 356

   



Versione con traduzione di Virgilio Galassi




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