I bolscevichi disponevano dei numerosi reparti dell'esercito rosso, bene armati e bene approvvigionati. Tuttavia, per evitare un malinteso affratellamento fra combattenti dell'armata rossa e machnovisti, i bolscevichi mandarono di sorpresa contro i machnovisti una divisione di fucilieri lettoni e un distaccamento di cinesi, reparti fra i più estranei allo spirito della rivoluzione e ubbidienti ciecamente alle autorità.
Per tutto il gennaio i machnovisti restarono disorganizzati dalla epidemia di tifo. Tutti i membri dello stato maggiore ne erano affetti. Machnò aveva un tifo esantematico in forma grave. La maggior parte dei combattenti colpiti dalla malattia avevano dovuto abbandonare i ranghi e disperdersi nelle campagne. In tali condizioni i machnovisti dovettero cavarsela in mezzo a un nemico numeroso e sopratutto aver cura di Machnò che si trovava in istato di incoscienza. Fu un momento agitato, pieno di sacrifici di cure di preoccupazioni per il capo. Gli insorti, i semplici contadini delle campagne, erano profondamente turbati dalla pericolosa situazione di Machnò, che da un giorno all'altro poteva cadere in mano dei rossi. Tutti capivano che la fine di Machnò sarebbe stata una perdita incalcolabile per tutta la massa contadina e così fecero tutto il possibile per evitarla. Bisognava vedere come a Guliai-Pole e in altri villaggi portavano Machnò da un'isba all'altra per nasconderlo alle truppe rosse; come nei momenti critici, quando il nascondiglio di Machnò era stato scoperto, i contadini si sacrificavano per guadagnare tempo e permettere che Machnò, privo di forze, potesse essere trasportato in luogo più sicuro; bisognava vedere ciò per comprendere quanto i contadini stimassero il loro capo e con quale devozione fanatica lo proteggessero e lo difendessero.
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Versione con traduzione di Virgilio Galassi
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