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      In questo stesso tempo alla massa di truppe che dipendevano da Machnò, si aggiunsero inaspettatamente anche due divisioni di cavalleria rossa, che si trovavano al confine occidentale. Tutte le strade erano tagliate. Il luogo era una tomba: rocce e ripidi borri, coperti di ghiaccio. Muoversi era possibile soltanto in modo estremamente lento. Da tutte le parti fuoco ininterrotto d'artiglieria e di mitragliatrici. Nessuno vedeva via d'uscita e di salvezza, ma nessuno voleva fuggire ignominiosamente. Decisero di morire tutti insieme, l'uno accanto all'altro.
      Era tremendamente doloroso vedere quel pugno di insorti, serrati dalle rocce dal cielo e dal fuoco nemico, entusiasticamente decisi a battersi fino all'ultimo, pure già votati alla morte. Il dolore la disperazione e una tristezza strana ti afferravano. Si voleva gridare a tutto il mondo che lì veniva compiuto un delitto immane che lì periva quanto di più puro c'era in un popolo, tutto quello che un popolo può dare di sè nei momenti più eroici.
      Machnò uscì con onore dalla prova. Raggiunse la Galizia salì verso Kiev, quindi tornò attraverso il Dnepr, si ritirò nella zona di Poltava e di Charkov, risalì a nord verso Kursk e, passata la ferrovia fra Kursk e Belgorod, si trovò in una situazione nuova e più facile, lasciate dietro di sè lontane le numerose divisioni rosse di cavalleria e di fanteria.
      Ma la lotta eroica del gruppo machnovista contro le armate dello stato bolscevico non era ancor finita. Il comando sovietico faceva ogni sforzo per afferrare e distruggere del tutto il germe vitale del machnovismo, da ogni parte d'Ucraina raccogliendo e lanciando contro Machnò le sue numerose divisioni di fanti e di cavalieri.


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Storia del movimento machnovista
di Pëtr Andreevic Aršinov
pagine 356

   



Versione con traduzione di Virgilio Galassi




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