Questa parte della sua vita ha importanza come le altre, poichè da essa si potrà vedere, documento inoppugnabile, quante siano state le menzogne e le calunnie diffuse sul suo conto sopratutto dai bolscevichi, che lo ritennero, in Ucraina e fuori, uno dei loro maggiori avversari.
Da «capo partigiano» tornò militante senza pretese nè diritti maggiori di qualsiasi altro, anche se aveva consumato il meglio della sua vita tra il carcere e una lunga cruenta lotta contro la reazione di destra e di sinistra, - militante come migliaia d'altri, di un ideale che cercò sempre di difendere con tutta la sua forza e le sue capacità. Lasciate le armi della lotta aperta si dedicò - dopo il lavoro quotidiano per guadagnarsi il pane, quando la malattia e il tormento delle ferite che non si rimarginavano lo permettevano - all'umile compito del propagandista, con la tenacia propria del suo carattere e con l'esperienza acquisita nella rivoluzione.
Machnò non era mai stato in Europa. La sua vita era trascorsa; sino al 1921, nella lotta armata per dare al popolo le condizioni necessarie a forgiarsi una esistenza nuova. Soltanto quando, sconfitto ferito e gravemente malato, dovette abbandonare l'Ucraina per riparare all'estero, egli entrò in contatto con l'occidente, con la maniera di pensare e di lottare di vecchi anarchici come Malatesta, Sébastien Faure, Rudol Rocker, Luigi Fabbri, coi quali ebbe lunghe e appassionate discussioni sul modo di condurre la lotta rivoluzionaria, discussioni alle quali abbiamo accennato altrove.
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Versione con traduzione di Virgilio Galassi
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