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      Lasciata l'Ucraina, riparò in Rumenia, dove fu subito chiuso in un campo di concentramento; poi fuggì in Polonia, dove lo accolse una sorte non migliore. Anzi qui, dopo alcune proposte, avanzate dal Ministero della Guerra tramite un inviato speciale, perchè aderisse al regime vigente in Polonia, che gli avrebbe assicurato un certo benessere, e dopo il suo netto rifiuto seguito da una domanda di poter lasciare il paese per la Germania o la Cecoslovacchia, la sua posizione mutò improvvisamente, da quella di semplice internato - con trattamento sopportabile - in quella di detenuto. Chiuso in carcere, rigorosamente vigilato, si vide accusato di «alto tradimento» per «accordi e legami con rappresentanti e agenti della Delegazione Sovietica di Varsavia, aventi lo scopo di organizzare una rivolta in Galizia, separare questa provincia dalla Polonia e cederla alla Russia».
      La montatura, lo si vide presto, era cucita col filo bianco della provocazione; alla quale avevano lavorato agenti sovietici poliziotti e giudici compiacenti. L'intera accusa si basava sulle deposizioni di un certo Krasnovolski, che, dopo essere stato assieme ai machnovisti in ternati in Rumania (dove aveva invano tentato di guadagnarsi la fiducia di Machnò) riuscì a trovarsi al suo fianco anche in Polonia.
      Arrestato in seguito a un simulato tentativo di fuga dal campo di concentramento, Krasnovolski affermò di portare, per conto di Machnò, documenti a un agente bolscevico di Varsavia. L'esame dei documenti dimostrò l'esistenza di un complotto, contro la Repubblica Polacca, del quale Machnò era il centro e l'ideatore.


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Storia del movimento machnovista
di Pëtr Andreevic Aršinov
pagine 356

   



Versione con traduzione di Virgilio Galassi




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