Ci troviamo intanto in una sala terrena, su un pavimento di lastre scalpellate come nelle rimesse. Vediamo su' muri pitture non delle peggio rappresentanti soggetti classici; e fra gli altri la famosa battaglia del sacerdote di Diana che difende bravamente con tanto di coltello in mano la sua parrocchiale.
Questa sala, della quale benedico ancora il fresco che ci trovai cento volte tornando trafelato da lavorare sull'ore bruciate: sala da pranzo, da lavoro, da ballo, da consiglio; sala dove era il deposito de' miei attrezzi, de' cappelli, de' bastoni, delle vanghe, degli schioppi ad uso di tutti noi, mostrava che sotto un altro padrone aveva accolto una società molto piú distinta della nostra. V'era, oltre la pittura, qualche scaffale, qualche seggiola, qualche tavola che doveva aver fatto parte d'una mobilia assai piú elegante di quella che si usa comunemente da contadini. Era evidente che l'antico padrone dovesse appartenere alla classe di signori. Come mai una simile abitazione poteva ora essere proprietà del sor Checco Tozzi?
Non per far misteri, che non è il mio genere, ma proprio in tutta coscienza, debbo confessare che mi è impossibile di rispondere con precisione a questa domanda.
Me la son fatta a me stesso cento volte mentre abitai Marino, l'ho fatta a molti Marinesi, la feci ad esteri, la feci agli echi delle rupi, ed alle ninfe de' boschi. Tutto inutile: tutti muti ugualmente. Del signor Checco Tozzi non si sa, se non quello che vuol egli far sapere per sua particolar cortesia, ed è molto poco - non ho detto poca, intendiamoci.
Quanto agli altri, ai Marinesi sopratutto - stanno al machiavellico proverbio - Parum de Dea, nihil de... Checco Tozzi.
Dunque diremo che egli, secondo la lettera dell'assioma legale possideo quia possideo, possedeva questa casa e vi manteneva il governo del despotismo illuminato e non tirannico di chi sa che la propria autorità è accettata senza la minima velleità di ribellione.
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