Era una festa in Marino; e la banda di non so qual castello, venuta la mattina, aveva suonata messa cantata, i vespri, accompagnata la processione, e passata finalmente la sera all'osteria, trattata splendidamente dalla munificenza dei Marinesi.
Pare che nell'idee del sor Mario Maldura s'operasse quella sera un gran fermento e che n'uscisse questo ragionamento: "Io non m'azzardo passar sotto le finestre di Nanna, perché se son solo e che Padron Titta mi veda, è capace... ma se invece sarò bene accompagnato... allora s'avrebbe a discorrere".
Conseguenza di queste saggie riflessioni fu di proporre alla banda di far una serenata alla Nanna e la banda acconsentí.
Dato ognuno di mano al suo istrumento, il sor Mario primo e gli altri appresso, si avviarono verso l'adorate mura collocate in una viuzza laterale di Marino vecchio. Quando il duce della compagnia giunse però a quaranta passi dall'uscio di de Santo, o fosse pudore d'innamorato, ovvero l'imponente memoria delle gloriose gesta di Padron Titta in quanto a menar le mani, fatto si è che non osò andar piú oltre. Dispose come Almaviva i suoi istrumenti; il clarinetto del capobanda diede il suo pipiripí di prova, poi egli col dito uno in levare, e via!... Scoppio generale e fuoco su tutta la linea.
Era passata la mezzanotte, ed in quelle casuccie piene d'addormentati fu come la tromba finale, e svegliò grandi e piccini.
Se Padron Titta ne fosse piacevolmente sorpreso, è facile immaginarlo! Lo so io, e me ne ricordo bene, quand'ero di moda, e che mi facevano le dimostrazioni, che diletto sul primo sonno un Se tu dormi svegliati eseguito dalla gran cassa, i campanelli, i piatti e l'ottavino!
Io non ci trovavo rimedio, e subivo la mia condanna; ma sapete che rimedio pronto quanto infallibile trovò la feconda immaginazione di Padron Titta "per aver pace da' nemici sui"?
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