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      La canna calda ed il focone nero che tingeva le dita.
      Questa spiegazione non la seppe trovare su due piedi, Padron Titta, e ci volle flemma; alzarsi, vestirsi e andar in prigione.
      Però l'indomani stesso ebbe al solito il consenso de' feriti; la serenata costò bensí qualche scudo a lui piú che al sor Mario, ma non passarono ventiquattr'ore che già le cose eran quietate interamente, tutto il mondo in pace e l'ordine regnava a Marino.
      E qui si farà punto per oggi, e stiamo a vedere se mi trovano divertente. In caso del sí, si tira innanzi, e farò di tutto per mandare il sor Checco Tozzi alla posterità. In caso del no, avrà la bontà di contentarsi della fama ch'ebbe in vita, si prende congedo da' benigni lettori, e resteremo amici come prima.
     
     
     
      CAPITOLO II
     
      GLI OSPITI
     
      Col signor Mario abbiamo chiusa la lista de' membri della famiglia. Viene ora l'articolo ospiti.
      Metterò me per il primo, non per difetto di modestia, ma perché ho fatte permanenze di mesi e mesi, e perché ero divenuto talmente intimo colle persone di casa da essere considerato e potermi senza superbia considerare l'ospite piú importante. Credo poi di aver contribuito a chiamar gente a Marino, ed indurli col mio esempio a scegliere per soggiornarvi la casa del sor Checco piuttosto che l'osteria; dove il sor Cesare e la sora Marta, due ottimi vecchi, avevano bensí qualche camera assai pulita da offrire, ma non potevano impedire che lo strepitoso esercizio del giuocar a morra, non mai interrotto al pian terreno in tutta la sera fino al tardi, non fosse di un gran stordimento agli abitanti delle camere al primo piano.
      In casa del sor Checco invece si godeva d'una quiete da monache. Si cenava all'avemmaria, e ad un'ora di notte, per tacito consenso, ognuno se n'andava a letto, o almeno evitava di fare strepito, e per la tranquillità degl'inquilini era tutt'uno.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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