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      Passi mastro Baldassarre e venga avanti un'altra figura della mia collezione. Non abbia timore, ce n'è abbastanza. Quelle che non vuole gliele cambio.
      Giacché non ha genio per i cocchieri, le troveremo duchi.
      Crede che scherzi? Il secondo ospite è duca. Già siamo intesi che in Italia si può aver questo titolo senza necessità di mantenere sudditi, eserciti, flotte e simili.
      Il mio duca difatti non possedeva nulla di tutto questo. Secondogenito di una gran famiglia, aveva il cosí detto piatto, col quale per solito non c'è da vivere, né da morire di fame a rigor di parola. Circa della mia età, bel giovane, un corpo di ferro, uno sguardo che pareva vi mangiasse, capelli neri e sempre ritti a raggiera; ed un cervello di poeta nel senso piú disperatamente ruinoso dell'espressione. Buon cuore, bell'ingegno, risposta pronta, lealtà, coraggio, insomma di que' tipi che a distanza e senza abuso riescono carissimi; ma in casa è lo stesso che tenere a dozzina il terremoto.
      Don Filippo de' Duchi - nome in bianco per amore d'un certo animale (né grazioso né benigno, quale parve Dante a Francesca) che prospera in Italia, tutto orecchie e quasi senz'occhi, e che la serba peggio de' gatti a coloro che gli hanno fatto un dispetto, fosse trent'anni addietro - don Filippo era fra' miei conoscenti, se non fra gli intimi, da parecchi anni: ed un bel giorno me lo vedo comparire a Marino col suo bagaglio.
      - Son qui, ho bisogno di te, - mi dice. Non gli avevo mai visti gli occhi cosí stralunati. Sentii a quella prima parola che, volendo io lavorare e studiare in pace, se lui aveva bisogno di me, io invece avrei avuto pochissimo bisogno di lui; ma come tirarsi addietro quando un amico, un coetaneo vi parla cosí?


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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